Donne e Sport: Intervista a Patrizia Giallombardo e Terry Gordini

Patrizia Giallombardo e Terry Gordini

a cura di Giulia Budrago

Da tempo Progetto Donne e Futuro dedica uno spazio alla tematica dello sport, sia nell’intento di valorizzare l’importantissimo ruolo di quest’ultimo come risposta efficace contro la violenza, sia di portare esempi di donne che sono riuscite a farsi strada a livello professionale nonostante gli ostacoli istituzionali, e gli ancora esistenti stereotipi di genere nelle discipline sportive. Nell’affrontare questi temi, da Settembre 2014 a oggi il think tank ha partecipato a diverse iniziative, tra le quali “Lo sport è vita”, patrocinato dalla Sport 3.0 Foundation. Inoltre, durante l’evento di Progetto Donne e Futuro tenutosi a Savona in Marzo 2015 (approfondito nell’inserto di Giugno scorso) Progetto Donne e Futuro ha visto tra le protagoniste la campionessa di pugilato Terry Gordini, e il Commissario Tecnico della Nazionale di nuoto sincronizzato, Patrizia Giallombardo. Quest’oggi abbiamo il piacere di offrire ai nostri lettori le interviste che queste due donne straordinarie ci hanno rilasciato. Dedizione, focus sugli obiettivi, metodo e perseveranza - parte integrante di ciò che Progetto Donne e Futuro promuove - emergono chiaramente come elementi fondamentali nel perseguimento delle carriere sportive, sia a livello di competizione, che a livello manageriale.

Patrizia Giallombardo
Già coordinatrice delle squadre Nazionali di nuoto sincronizzato, nel 2012 è stata nominata anche Commissario Tecnico della Nazionale.
Dal 1989 al 2000 ha fatto dello staff tecnico della Nazionale.
Nella sua carriera di atleta, dai 7 ai 16 anni, ha praticato il nuoto. Le sue gare erano i 100 dorso e i 100 stile libero.

Nel corso della sua lunga e brillante carriera, è stata prima di tutto un’atleta. Pur essendoci stato negli ultimi anni un forte aumento di atlete donne, le discriminazioni per quanto riguarda il settore professionistico sono ancora forti. Qual è la sua esperienza in merito? Ha avuto difficoltà ad inserirsi e a “farsi valere” nel nuoto, pur essendo uno sport tradizionalmente sia maschile che femminile?
È stato difficile iniziare la mia carriera, perché soprattutto all’inizio nella nostra società la parte della pallanuoto era molto più importante e quindi, in quanto donna ho dovuto fare più fatica per farmi valere. Io ho voluto dimostrare la mia determinazione, questa sfida è stata la chiave per cui ho deciso che volevo non fermarmi davanti agli ostacoli, per quanto grandi potessero sembrare. Io e le mie atlete ci siamo sempre adeguate agli spazi che ci fornivano, allenandoci la mattina presto, persino di domenica.
Devo dire che dopo tutti questi sforzi e riconoscimenti internazionali, mi aspettavo di più dalla mia società, soprattutto che la parte femminile venisse più valorizzata. E questo non è ancora successo.

La Federazione Italiana Nuoto, originariamente si chiamava “Federazione Italiana di Nuoto Rari Nantes” in onore della Rari Nantes Roma, prima società di nuoto fondata in Italia. Il suo contributo nello sviluppo del settore del nuoto sincronizzato alla Rari Nantes di Savona è stato fondamentale, ci racconta la storia del club e quali sono stati i passaggi più importanti della società?
La Rari Nantes Savona nasce come società di pallanuoto. Io originariamente ero nell’Amatori Nuoto Savona e dato che non avevo la possibilità di spazi acqua in comune, ho fatto una scelta difficile, chiedendo se il nuoto sincronizzato potesse essere affiancato alla pallanuoto, per aver più spazio, perché volevo “crescere”. Ovviamente ho dovuto lasciare la mia società d’origine, e non senza rammarico. Ma sono andata avanti, perché volevo mettermi in discussione. Ci siamo allora fusi con la Rari Nantes avendo così due corsie dalle 14.30 alle 18.30, il che mi ha permesso di aprire una scuola a Savona. Da allora, siamo riuscite con molte difficoltà a raggiungere grandi risultati.

Qual è il suo rapporto con la città di Savona?
Sinceramente mi aspettavo di più dalla città di Savona… Siamo tornate pochi giorni fa dalle olimpiadi con due medaglie e purtroppo non abbiamo ricevuto il riconoscimento sperato.

Durante la sua carriera da allenatrice ha collaborato con le attuali Direttrici Tecniche di Canada e Russia. In che modo è stata instaurata tale collaborazione e quali stimoli e vantaggi ha portato all’agonismo italiano?
Si, ho collaborato con staff di nazionali straniere tra cui la Russia e il Canada trovandomi molto bene, perché sono una persona curiosa e sono convinta ci sia sempre qualcosa in più da imparare. Ho cercato sempre di portare nella mia città allenatori più bravi, per imparare anche con gli occhi. La teoria è importante, ma con gli occhi si “ruba” di più, devi vivere in prima persona le esperienze per poter poi farle tue. Per questo ho cercato di lavorare sempre con professionisti di alto livello.

Undici anni passati all’interno dello Staff Tecnico della Nazionale. Nel 2012 il titolo di Commissario Tecnico della Nazionale. Attualmente, anche all’interno degli organi del CONI, la presenza femminile, rispetto a quella maschile, è molto inferiore. Ha avuto difficoltà ad inserirsi in un settore ancora (purtroppo) a preponderanza maschile, come donna?
Io non ho avuto problemi di inserimento. Sono privilegiata perché vado sempre avanti come un “caterpillar” e cerco di risolvermi i problemi senza andare in Federazione a chiedere…Questo secondo me è un punto a mio vantaggio.

Lei ha seguito e sta tuttora seguendo molte atlete di spicco che, grazie al suo aiuto e alla loro forza di volontà, hanno raggiunto risultati importanti. È cambiato qualcosa, dal punto di vista del confronto con i colleghi uomini del nuoto, rispetto a quando era lei atleta? Sono stati compiuti dei passi avanti?
Le atlete donne in questo paese sono svantaggiate sia a livello economico sia di “immagine”. Le ragazze non percepiscono niente, le famiglie pagano le trasferte, abbigliamento eccetera, a differenza della pallanuoto dove i ragazzi percepiscono uno stipendio e sono molto agevolati. Siamo riusciti recentemente ad affiliare le ragazze all’esercito, cosicché le atlete possano avere uno stipendio e arrivare ad allenarsi fino ai trent’anni, quando invece un tempo riuscivano fino ai soli venticinque anni, per poi pensare al loro futuro. Quindi ci sono stati passi avanti per quanto riguarda la Federazione Italiana Nuoto, ma non per quanto riguarda le società sportive.
Dal punto di vista organizzativo, sportivo e del rapporto con il CONI, c’è qualcosa che modificherebbe o che vorrebbe in più per il suo sport? Io chiederei di avere un riconoscimento in quanto tecnici. Abbiamo un contratto sportivo senza pensione né contributi e questo ci rende molto svantaggiati.

Terry Gordini
Inizia la sua carriera pugilistica all’età di 25 anni a Ravenna, e ha come primo allenatore suo padre, Bartolomeo Gordini.
Terry ha conquistato la medaglia d’argento nei mondiali del 2012, e il bronzo nei mondiali del 2014. Adesso, il suo sogno è andare a Rio de Janeiro nel 2016.

Il pugilato si configura come sport prevalentemente maschile. Lei è un’atleta ormai di fama mondiale. Cosa ha comportato questo percorso e quali difficoltà ha incontrato maggiormente?
Il mio sport è sempre stato prevalentemente maschile, è vero. È definito come “nobile arte” e esiste da lunghissimo tempo, però è solo dal 2001 che il pugilato femminile è stato riconosciuto in Italia. Diciamo che inizialmente noi donne abbiamo avuto un percorso difficile, soprattutto nel farci accettare al pari degli atleti uomini. Poi con la determinazione di alcune atlete, tra cui io, siamo riuscite a conquistarci sempre più spazio e ora le pugili donne sono davvero diventate tantissime. La nostra squadra adesso è completa in tutte le categorie, cosa che non era fattibile in passato: quando ho vinto i mondiali io nel 2012 eravamo solo in 3 a partecipare! Ora le cose sono cambiate.

Nel 2012, in occasione dei Campionati Mondiali di Pugilato Femminile in Cina, ha conquistato la medaglia d’argento, battendo atlete esperte come l’americana Cruz. Nonostante l’ottimo risultato, si è detto che era rimasto un pizzico di delusione per non essere arrivata all’oro per un soffio. Come si possano metabolizzare e rendere positive e produttive queste sconfitte “di misura”?
Devo dire che ho imparato sempre più dalle sconfitte che dalle vittorie, perché la sconfitta è come un trampolino di lancio verso le vittorie future. La sconfitta va analizzata a fondo, in modo da capire dove hai sbagliato e cercare di migliorarti. Credo che questa sia proprio questa la determinazione che contraddistingue noi donne, la volontà di migliorarsi. È difficile quando manca un piccolo passo per raggiungerle un sogno e non ci riesci…ma proprio questo ti dà la grinta per riprovarci.

L’atteggiamento da combattente si è notato anche nel magnifico spot “provaci con me”, che la vede protagonista, assieme alle sue colleghe, realizzato in occasione della giornata contro la violenza sulle donne. Progetto Donne è Futuro è molto attento a questa tematica. Cosa pensa che si potrebbe proporre per operare un’azione di sensibilizzazione ulteriore?
Credo che lo spot che abbiamo fatto con la Nazionale abbia diffuso un messaggio forte: volevamo trasmettere la grinta che noi mettiamo sul ring a tutte le altre donne, far loro comprendere che come sul ring si può subire un KO, anche nella vita può accadere ma ci si può sempre rialzare, facendosi aiutare da chi ha i mezzi per poterlo fare, come ad esempio le associazioni che si occupano di questi temi.

Dal punto di vista atletico, ha mai subito discriminazioni o ingiustizie come donna?
No, perché ho sempre cercato di farmi rispettare. Magari qualche presa in giro, un pizzico di sottile ironia…io poi nasco nella palestra di mio padre, e essere sua figlia, anche se non mi ha mia dato delle prerogative, mi ha permesso di farmi valere. Visti i miei risultati lui ha sempre cercato di farmi seguire come esempio, anche per gli uomini. Volontà, caparbietà e grinta sono le cose davvero importanti, a prescindere dal genere, questo è il messaggio che ho cercato sempre di passare…quindi non ho vissuto discriminazioni di questo tipo. E io stessa ho preso atleti maschi come esempi da seguire, perché, appunto, è l’esempio che conta, non il genere.

Parlando delle discriminazioni di genere, un enorme vuoto normativo è rappresentato dalla mancata tutela alle atlete madri, che addirittura possono subire la risoluzione del contratto per inadempimento. Cosa pensa al riguardo e quali, secondo lei, potrebbero essere le soluzioni da proporre per colmare una lacuna così grande?
Secondo me è una questione a dir poco assurda…dovrebbero pensarci le istituzioni, il CONI soprattutto dovrebbe muoversi in questo senso. Io non sono in quel settore, ma credo che si dovrebbe lottare per questo diritto più seriamente, perché è una grande ingiustizia.

È soddisfatta, come atleta, del sostegno e del supporto da parte della sua Federazione?
Si, abbastanza ma non del tutto. La mia federazione mi ha dato i mezzi per raggiungere i miei obiettivi…però io sono una delle poche che non è riuscita a rientrare all’interno di un gruppo sportivo e quindi una volta finita la mia carriera dovrò rimboccarmi le maniche per il mio futuro. Nel nostro sport i settori delle forze armate hanno aperto tardi alle donne. Le giovani stano entrando, ma in passato la discriminazione è stata forte, perché hanno preferito prendere gli uomini invece che rivolgersi anche al pugilato femminile. Il mio esempio è stato utile per non commettere gli stesi errori, e di questo sono contenta…però alla fine io ne ho fatto le spese e credo che la mia federazione avrebbe potuto fare di più, anche considerando che quando ho vinto la medaglia nel 2012 erano ben sette anni che niente veniva vinto. Io ne ho vinte due consecutive in due diverse categorie…avrei forse meritato un po’ più di aiuto.

Una volta al culmine della sua carriera, le piacerebbe diventare allenatrice?
Mi piacerebbe, ma vorrei essere sicura di essere formata per farlo. L’esperienza è importantissima, e in quanto atleta impari anche molta teoria…io sono una che si documenta, leggo manuali, studio le tecniche e mi confronto con altri atleti e allenatori. Però, un conto è immagazzinare per se stessi, e un conto è trasmettere agli altri.

Che cosa vorrebbe dare alla sua società e qual è il messaggio fondamentale che vorrebbe trasmettere alle sue allieve nel caso lo diventasse?
Alle ragazze vorrei dire che “volere è potere”: la volontà è la forza che muove tutto quanto. È anche vero che un talento può permettersi di “vivere di rendita”. Però io ho constatato che se riesci a immaginare qualcosa e desiderarla intensamente, puoi anche ottenerla.

La carriera di donna dal punto di vista manageriale per ambire a posizioni apicali, passa ancora necessariamente dalla carriera di sportiva. Perché secondo lei?
Credo che l’esperienza sia importante quindi da un lato si deve praticare lo sport che si dirige. Magari ci sono settori dove non è necessariamente così…però mi sembra giusto, è più facile dirigere qualcosa che si è fatto in prima persona. Il CONI dovrebbe creare dei vincoli per inserire più figure femminili.

E come mai lo sport è ancora un “settore maschile” in cui le donne faticano maggiormente ad inserirsi, pur essendo preparate e battagliere come lei?
Le donne faticano ad inserirsi perché il pregiudizio rimane, c’è questa sorta di coalizione maschile che crea una cappa nelle quale è difficile muoversi. Se gli uomini considerassero le doti femminili il sistema migliorerebbe. Vederci non come minaccia, ma come un bacino dal quale attingere e inserirci nel loro staff.

Patrizia e Terry a confronto:
È innegabile che l’elemento che vi accomuna è il fatto di essere riuscite in quello che più vi appassiona. Qual è il metodo giusto per chi vuole raggiungere i propri obiettivi?
P: Determinazione, volontà e serietà sono gli elementi che determinano il successo, sia nello sport, che nella vita.
T: Concordo, determinazione e duro lavoro muovono tutto quanto e ti portano a realizzare i tuoi sogni

C’è stato un momento, nella vostra carriera, in cui vi siete sentite così soddisfatte da sentirvi “arrivate”, oppure siete per il “si può sempre fare meglio”?
T: Si può sempre migliorare. “Arrivare” per me vuol dire ottenere la medaglia d’oro. Non ci sono ancora riuscita, ma lo spero e non mollo.
P: Io come allenatrice sono riuscita ad arrivare all’oro, ma non mi accontento mai. Prendi l’oro per 1 punto e vuoi vincere di 5. È sempre una lotta per raggiungere di più.

Momenti di sconforto, ansia e stress, sicuramente ve ne sono capitati. Cos’è che ha dato la forza ad entrambe di persistere e proseguire per raggiungere l’obiettivo?
P: Ce ne sono stati tanti nella mia carriera, e sono riuscita a superarli attraverso l’appoggio della mia famiglia, soprattutto mio padre.
T: Nei momenti di sconforto ho sempre scavato dentro me stessa, ogni volta stupendomi, perché riuscivo a trovare qualcosa dentro che mi diceva “non mollare”. Sono anche convinta che avere qualcuno che ti supporta sia comunque fondamentale e io, per esempio, ho un marito eccezionale.

Avete delle tecniche per gestire la vostra emotività in situazioni di difficoltà e stress?
T: Io non le avevo e mi sono fatta aiutare da degli esperti, i “mental coaches”, che sono stati molto utili per imparare alcune tecniche.
P: Anche io collaboro con dei mental coaches. All’inizio no, mi dicevano che riuscivo a trasmettere tranquillità alle atlete, però io mi sentivo in ansia e stressata…con l’aiuto di questi professionisti la cosa è andata migliorando.

Come abbiamo già ricordato, le donne nel mondo manageriale dello sport sono ancora in forte minoranza. Le poche che hanno raggiunto posizioni apicali (come la stessa Dottoressa Giallombardo), hanno anche ottenuto risultati importanti, dimostrando di possedere capacità e preparazione. Pensate che, se si riuscisse a creare un percorso formativo ad hoc senza aver necessariamente svolto attività sportiva, quanto velocemente aumenterebbero le donne all’interno della governance sportiva?
P: È molto importante aver frequentato lo sport e essere nell’ambiente, perché impari cose diverse, soprattutto lo spirito di sacrificio, cosa che chi non ha fatto sport non può provare. Lo sport ti dà una marcia in più che ti porti nella vita.
T: Sono d’accordo, un percorso ad hoc serve, ma in realtà l’esperienza sul campo è importantissima, essere uno sportivo è la cosa più importante per capire come amministrarle gli sport stessi.

Materialmente parlando, quale metodo si potrebbe usare per incentivare e far diventare questa idea un vero e proprio progetto?
T: Insistere, proporre fino alla nausea che questi percorsi siano fatti, soprattutto per quote di donne, che sono carenti nella goverenance sportiva.
P: Sono d’accordo con Terry, è importante insistere perché c’è bisogno di donne, perché le donne sono più predisposte al sacrificio e perseverano finché non raggiungono i propri obbiettivi.

Cosa ne pensate di Progetto Donne e Futuro?
P: È un progetto molto valido e importante perché dà la possibilità a giovani donne di confrontarsi con il mondo del lavoro per realizzare i propri sogni
T: È un progetto bellissimo e mi auguro che si consolidi anche nella governance sportiva.

Il bello dello sport è che il merito e il duro lavoro vengono sempre riconosciuti e premiati. Qual è stato il momento più emozionante della vostra carriera?
P: Il momento più emozionante della mia carriera è recente: sono tornata da poco da Kazan, ai mondiali di nuoto 2015, dove abbiamo vinto due bronzi e ottenuto due sesti posti.
T: Per me è stata la medaglia d’argento conquistata nel 2012. Essere lì a fare la finale di un campionato del mondo è stato incredibile. Non ho raggiunto l’oro, ma anche l’argento è stato un gran risultato, anche considerando che era da sette anni che nessuno conquistava una medaglia nel pugilato femminile italiano.

 
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