A proposito del “Digital Green Pass”

CHE L’ITALIA AVEVA GIÀ DAL ‘400 CON FEDI DI SANITÀ, QUARANTENE E MASCHERE A DISTANZIAMENTO

a cura di Davide Rossello

Conoscere la storia non significa solo “ricordare”, ma “prendere coscienza” del tempo presente, gettando un ponte col passato e scoprendo i misteriosi legami fra la nostra e le epoche che l’hanno preceduta.
Le capacità di indagine sulle risposte che l’umanità ha offerto ai problemi che via via si sono affacciati è quindi una qualità necessaria per i decisori e fa parte di quella indispensabile competenza che deve possedere chi esercita la leadership.
Sappiamo che durante le grandi pandemie che si sono succedute nei secoli scorsi, come la peste ad esempio, venne imposto per poter viaggiare da un luogo ad un altro, un particolare documento denominato “Fede di Sanità”.
Il certificato era utilizzato come strumento di difesa delle epidemie nei tempi nei quali la vita, non solo economica, era strettamente dipendente dalle misure di precauzione e dagli strumenti di controllo, come la messa al bando ed i cordoni sanitari di terra e mare che, dopo la peste, divennero sempre più frequenti.
Un documento di accompagnamento della persona introdotto quando la vita non era ancora un affare, ma una presenza.
Si trattava di un vero e proprio passaporto sanitario dove era obbligatorio annotare le caratteristiche somatiche dello stesso e ogni dato utile per l’identificazione del soggetto. Inoltre doveva riportare tutte le cose e animali che egli portava con sé.
La fede di sanità doveva poi essere controllata ogni qual volta la persona si fermava e di volta in volta chi la esaminava aveva il compito di sottoporre prima una disinfezione e poi la vidimazione, indicando luogo, giorno e ora del controllo effettuato, in modo che risultasse possibile ricostruirne il percorso compiuto.
All’ingresso delle città, in tempi di epidemia, i controlli delle fedi venivano eseguiti dai Deputati proposti alla custodia delle porte. Inoltre, la fede doveva essere sempre esibita per poter ottenere alloggio per uno o più giorni, sia da albergatori che da chiunque offrisse ospitalità. (vedi Box 1)
 
Ecco che da tale documento, che quindi era una delle misure di prevenzione più antiche e sicuramente la più diffusa e la meglio documentata, possiamo ben capire come non sia innovativa, ma frutto di conoscenza della storia, l’idea del Digital Green Pass europeo di cui si sta parlando in questi giorni. La Fede di Sanità venne introdotta con finalità specifiche e di periodo e non teneva conto ancora dei temi dei diritti civili che non erano così sviluppati come adesso. Poi scomparve una volta svolto il suo ruolo.
La durata di scadenza e la possibile revoca di un passaporto vaccinale potrebbe prendere spunto dalle scelte empiriche del passato per semplificare molto gli aspetti che altrimenti il Digital Green Pass potrebbe portare con sé.
Altrettanto interessante, sempre legato al tema della protezione che la storia e l’esperienza offrono all’umanità contro la peste, era il modo di vestirsi da parte dei medici che dovevano far visita agli ammalati. Divenuto poi anche una maschera carnevalesca, l’abito cerato con bastone per alzare le vesti dell’ammalato, era una tenuta che imponeva una forma di preventivo “distanziamento” di circa 90 cm /1 metro che il medico cercava di frapporre fra sè e l’ammalato, coadiuvandosi soprattutto di una maschera bianca con un lungo naso a becco.
Era proprio questa maschera ad avere un ruolo fondamentale, in quanto allora (come oggi) si riteneva che il contagio per alcune pestilenze avvenisse attraverso il respiro delle persone infettate. (vedi Box 2)
Interessante era anche il ruolo che avevano questi medici, che oltre a fare visita ai malati dovevano redigere testamenti rapidi (al pari degli attuali testamenti covid) e compilare i registri funebri per avere una stima completa dei morti.
Fatti che avevano la funzione dei famosi censimenti e delle statistiche in embrione.
Furono tra i primi i veneziani a stabilire – visto che non era nota né la causa del contagio della peste (o morte nera), né la cura – i principi della “Quarantena” (che usiamo ancora oggi) e dei “Lazzaretti” (come luoghi di isolamento e cura per le persone contagiate simili all’intento dei famosi attuali supertecnologici “hub” anche se gli effetti di allora incisero sull’etimologia che riporta a ricordi spiacevoli).
Tali strumenti rappresentano un importante bagaglio di conoscenze di particolari momenti sociali che hanno segnato la storia dell’umanità nelle epoche precedenti.
Gli attuali impieghi tecnologici, con le necessarie ovvie integrazioni a tutela delle conquiste giuridiche dell’individuo da apportare agli strumenti storici preesistenti, consentono dunque di partire da questa base di conoscenze, esperienze e soluzioni date dalla storia tramandata nei libri e nei documenti storici.
Può ben comprendersi l’importanza dello studio e della valorizzazione dei documenti storici e dei libri antichi che tramandano la conoscenza con un apporto ineludibile anche al fine di comprendere meglio le attività svolte per affrontare quei problemi sanitari che avevano compromesso anche i modelli socio-culturali e non di meno quelli economici soccorrono ancora una volta  documenti cartacei e dei disegni dei vecchi archivi, libri  delle antiche biblioteche, cataloghi e  registri delle città storiche (Venezia, Firenze, Roma, Genova, Torino, Milano e moltissime altre città italiane e nonché città europee come Parigi, Londra, Lisbona, Bruxelles) solo per citarne alcune. L’adozione di certe precauzioni o l’inserimento di nuovi modelli di controllo – come le Fedi di Sanità o le Quarantene (documenti oggi ambiti anche dal collezionismo) – sono stati utilissimi al controllo evitando dapprima che la trasmissione del contagio fosse catastrofica e in seguito la loro efficienza o efficacia ha contribuito in gran misura per fare da spinta sociale per la ripresa dei Paesi colpiti dalle diverse pandemie.
L’impiego di certe misure attribuiva poteri e discrezionalità non riequilibrate, erano certamente necessari adeguamenti dei diritti civili intervenuti poi nei secoli a tutela dell’individuo e c’erano indubbiamente aspetti non valutabili senza gli strumenti attuali statistici e valutativi, tecnologici e informatici ai quali oggi possiamo attingere. Questi i temi ora da superare. Con i passaporti vaccinali è chiaro che adesso si tratterà della necessità di avere piena fiducia nei Governi e questo potrà essere acquisita solo attraverso la trasparenza. C’è il rischio che i Governi spendano tempo e denari per creare un sistema troppo complesso di “passaporti evoluti”, modelli ai quali stanno lavorando da tempo, ma non è questo il momento, mentre basterebbe per ora adottare un primo di modello molto semplice e “basico”, sul quale in futuro costruire altro.
Ed è proprio compito della nostra epoca arricchire con la nuova esperienza e i nuovi strumenti il bagaglio di contrasto alle pandemie ereditati dal passato, dopo aver studiato, rispettato interpretato e capito la storia.
Appare quindi una soluzione già sperimentata nei secoli la “Digital Green Pass” che potrebbe cambiare solo per la modalità tecnica dell’uso. In pratica al di là del nome nuovo suggerito il passaporto vaccinale per il quale è arrivato il via libera dall’Ue per tornare gradualmente a viaggiare in Europa e nel mondo, avrebbe già trovato un impiego secolare, se non ci fosse troppa “ingordigia” di potere e controllo nell’adozione di funzioni multiple attualmente non occorrenti.
Data prevista per l’introduzione del documento è il 17 marzo, quando la Commissione europea presenterà un pacchetto che si concentrerà sui viaggi sulla revoca delle restrizioni per una riapertura comune sicura.
Il vicepresidente dell’Esecutivo comunitario, Margaritis Schinas, alla conferenza stampa al termine della videoconferenza dei ministri della Salute Ue ha chiarito che il  “Digital Green Pass” fornirà una prova della vaccinazione per la persona in possesso del documento, con i risultati dei test effettuati da coloro che ancora non si sono potuti sottoporre al vaccino Covid-19 ed eventuali informazioni sulla guarigione dal coronavirus, avendo cura di sottolineare “senza comportare discriminazioni tra chi ha effettuato la vaccinazione e chi no”.
Dal suo profilo Twitter la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, sottolinea come il nuovo documento rispetterà la protezione dei dati, la sicurezza e la privacy, e faciliterà la vita degli europei con lo scopo di consentire gradualmente ai cittadini di muoversi in sicurezza nell’Ue o all’estero, per lavoro o per turismo.
Perché subito queste dichiarazioni volte a spiegare come l’introduzione del passaporto vaccinale non inciderà sui diritti individuali? Perché alla base risiede una questione delicata di complesso bilanciamento dell’interesse alla ripresa di settori economici con i temi di diritti civili per evitare discriminazioni, uso improprio ai fini delle privacy, per far fronte a non sufficiente tutela da frodi e abusi e altri temi giuridici tipici di realtà complesse ed evolutive.
Tutti i passaporti vaccinali hanno il potenziale di bloccare le persone da beni e servizi essenziali ed escludere coloro che mancano di identificazione o non possiedono o non possono permettersi uno smartphone. E che sia questo un argomento scottante lo certifica l’intervento di Angela Merkel nella conferenza stampa post riunione: “Tutti hanno concordato sul fatto che serva un documento digitale che certifichi il vaccino, un documento compatibile in tutti i Paesi e che sia pronto per l’estate”, durante la conferenza stampa. Affinché il certificato di vaccinazione non divenga strumento di discriminazione per chi ne sarà sprovvisto, soprattutto riguardo ai viaggi, il commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders, ha suggerito che anche chi non si è sottoposto all’immunizzazione possa continuare a muoversi, avvalendosi dei test e delle quarantene.
Resta peraltro un fatto evidente: tutti coloro che avranno voluto e/o potuto sottoporsi al vaccino potranno circolare con meno limitazioni nei vari Paesi del nostro pianeta in cui sarà, ovviamente, concesso farlo. I turisti vaccinati potranno evitare (in base alle regole del Paese di destinazione e le norme di quello di ritorno) di sottoporsi a tamponi e quarantene per accedervi, a differenza di chi non sarà vaccinato che dovrà, quindi, sottostare a limitazioni utili per la sicurezza di tutti. Inoltre, il passaporto potrebbe anche contenere, come succederà nelle varie sperimentazioni che inizieranno a marzo, informazioni relative ai risultati dei test Pcr (dall’inglese “Polymerase Chain Reaction”, reazione a catena della polimerasi) anti Covid-19 effettuati prima della partenza o a destinazione, con i conseguenti effetti inerenti ai segmenti selezionati di DNA dell’individuo.
Sono di tutta evidenza quindi i riflessi per la tutela dell’individuo, ma anche la considerazione che la vita umana ormai non è più valutata come una presenza, ma come un affare. Ampi risvolti per lavoro ed economia. Bruxelles punta a lavorare con organismi internazionali come Oms, Ocse e Iata per far sì che il “green pass” venga riconosciuto al di fuori dell’Ue, cercando di non subire «decisioni assunte altrove» con  riferimento ai programmi di alcuni colossi digitali e affinchè vi sia l’adozione di una sorta di certificazione dell’avvenuta vaccinazione contro il Coronavirus, da parte dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). David Nabarro prevede che in futuro verrà introdotto un documento che attesti l’immunità. La stessa presidente von der Leyen ha aperto all’idea, sostenendo che la proposta andrà discussa non appena esisterà un certificato vaccinale riconosciuto dall’Oms stessa, ma se quando i viaggi riprenderanno, è evidente che i visitatori e i lavoratori attraverseranno i confini e avranno bisogno di standard globali come il certificato di vaccinazione intelligente dell’OMS. Questo potrebbe essere un campo minato di problemi legali. I diritti umani e la protezione dei dati devono essere soppesati contro il dovere di cura e la libertà commerciale di agire. I governi possono rendere obbligatori i passaporti dei vaccini per motivi economici o per proteggere la salute pubblica e potrebbero decidere di evitare un’ingerenza eccessiva sul cittadino, limitandosi a richiederlo.
Con questa posizione, la scossa per i 27 Paesi dell’Unione europea è forte e gli Stati Membri dovranno accelerare in queste settimane il processo per definire un protocollo comune e un sistema digitale che sia valido in tutta Europa per permettere ai cittadini dotati di passaporto vaccinale di viaggiare più liberamente, con la speranza che questo possa far tornare il turismo alla ribalta come tutti desideriamo. La proposta è partita dal primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis il 12 gennaio scorso e sta attualmente agitando le acque all’interno dell’Ue fra Paesi che lo adotterebbero subito e altri che, dall’altro canto, creano resistenze poiché lo considerano un documento discriminatorio.
Un tema che, di conseguenza, divide ancora i 27 Paesi europei, che non possono però ormai sottrarsi ad una sorta di certificazione, ormai quindi il tema non è più l’an ma il merito.
Nei giorni scorsi un ampio spazio al tema è stato dato in Inghilterra partendo dal Financial Times del 27 febbraio con una pagina di Melinda Mills che evidenzia i rischi, le perplessità e le scelte della cultura anglosassone al tema. Tutti aspetti che non possiamo trascurare se vogliamo essere protagonisti del nostro tempo.
Melinda Mills riporta il recente rapporto della Royal Society che ha stabilito dodici diversi criteri che dovrebbero essere soddisfatti per rendere fattibili i passaporti vaccinali. Si tratta di un ecosistema complesso che richiede una comprensione di diverse tematiche, dall’immunità e l’infezione alla tecnologia, dall’etica ai fattori comportamentali. Non a caso la Royal Society è stata fondata nel 1660 per promuovere l’eccellenza scientifica come viatico per il benessere della società.


1. Nel 1743 la Suprema Deputazione in Sicilia divenne una magistratura separata da Napoli con il potere di decretare la messa al bando e di vigilare sulla salute attraverso i Magistrati di sanità. I cordoni di terra e di mare dovevano isolare e proteggere il territorio ancora indenne, da minacce esterne, qualsiasi arrivo di persone, animali o merci che costituivano un potenziale veicolo di infezione. A mano a mano per coloro che si dovevano spostare per lavoro da un luogo ad un altro, non più sufficiente un passaporto ma questo doveva essere accompagnato anche da una “Fede di Sanità” che certificasse la provenienza della persona, degli animali e delle merci, da luoghi che non fossero infetti o sospetti di infezione. Mentre le “fedi di salute marittime” venivano rilasciate dalle autorità sanitarie del porto di partenza, su un modulo stampato dove poi veniva apposto un sigillo e annotati tutti i casi o sospetti di malattie contagiose, verificatisi nel territorio della giurisdizione di competenza.


2. Questa particolare maschera presentava un becco lungo 50 cm e serviva per contenere una precisa miscela chiamata “Teriaca” di diverse erbe aromatiche, ben 55 diverse polveri (lavanda, cannella, timo, ambra, mirra, foglie di menta, aglio, chiodi di garofano e particolari spugne imbevute di aceto e polvere di carne di vipera) fungevano da filtro. Questa maschera viene associata alla pandemia della peste nera diffusasi in Europa a partire dal 1346, ma lo sviluppo dell’idea iniziale viene poi attribuita al medico francese Charles de l’Orme (1584 – 1678), che vi apportò alcuni accorgimenti migliorativi.


3. In particolare, un passaporto vaccinale dovrebbe: 1) soddisfare i parametri di riferimento per l’immunità COVID-19; 2) rispettare le differenze tra i vaccini nella loro efficacia e i cambiamenti nell’efficacia del vaccino contro le varianti emergenti; 3) essere conforme agli standard internazionali; 4) avere credenziali verificabili; 5) avere usi definiti; 6) essere basato su una piattaforma di tecnologie interoperabili; 7) essere sicuro per i dati personali; 8) essere portatile; 9) essere accessibile a individui e governi; 10) rispettare gli standard legali; 11) rispettare gli standard etici; 12) avere condizioni di utilizzo comprese e accettate dai titolari del passaporto).

 
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