Evento LEITFRAME

Report sul Seminario 14 dicembre 2020 DONNE E UOMINI INSIEME: un doppio binario, la scommessa nel Mondo Nuovo, Governance, Geopolitica, New Concep

a cura di Davide Rossello

LEITFRAME - Contenitore di cornici di dialogo e nuovo soggetto giuridico societario - promuove un secondo Ciclo di Eventi online dedicati al Paese con frame dal titolo “Doppio Binario”.
Il Seminario sarà incentrato sul tema DONNE E UOMINI INSIEME: non solo relazione di persone ma creazione e sviluppo di nuovi concept e diversi modi di guardare al futuro, riflettendo semmai sugli effetti dell’attuale pandemia. La questione donne – governance e lavoro ha ricevuto senz’altro grande attenzione da media e movimenti/associazioni gravitanti intorno all’universo delle donne. Come noto, la Legge Golfo-Mosca, introdotta nel 2011, ha previsto che il genere meno rappresentato (di fatto, le donne) nei Consigli di amministrazione e nei Collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico ottenga almeno il 30% dei membri eletti. Il convegno si è tenuto il 14 dicembre 2020 su piattaforma zoom. Tra gli ospiti, abbiamo: Danilo Taino, Editorialista del Corriere della Sera e Autore di Libri ; Claudia Manzi, Prof. Ordinario di Psicologia Sociale all’Università Cattolica Milano; Valeria Fedeli, Senatrice della Repubblica Italiana; Cristina Rossello, Deputata della Repubblica Italiana, Loredana Leo, Consigliera dell’Ordine Avvocati Milano; Maria Silvia Sacchi, Giornalista Economia Corriere della Sera.
 
Considerazioni generali sulla Legge:
La Legge Golfo-Mosca, introdotta alla fine del 2011, ha previsto che il genere meno rappresentato (di fatto, le donne) nei Consigli di amministrazione e nei Collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società a controllo pubblico ottenga almeno il 30% dei membri eletti. Recentemente la proroga della Legge ha portato la percentuale al 40%.
Il provvedimento è stato poi ulteriormente modificato attraverso un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio del Senato.
La legge, come noto, prevede vincoli di genere (c.d. quote di genere) nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle società quotate in mercati regolamentati e delle società, costituite in Italia, controllate da pubbliche amministrazioni, non quotate in mercati regolamentati.
Nella sua formulazione previgente la normativa aveva le seguenti caratteristiche:
1. Temporaneità
La legge imponeva che lo statuto societario prevedesse che il riparto degli amministratori e dei sindaci da eleggere fosse effettuato in base a un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi per 3 mandati consecutivi.
2. Gradualità
Le disposizioni della legge si applicavano a decorrere dal primo rinnovo degli organi di amministrazione e degli organi di controllo delle società, successivo ad un anno dalla data di entrata in vigore della stessa (2011), riservando al genere meno rappresentato, per il primo mandato in applicazione della legge, una quota pari almeno a un quinto degli amministratori e dei sindaci eletti. A regime, la legge richiedeva che il genere meno rappresentato dovesse ottenere almeno un terzo degli amministratori/sindaci eletti.
3. Sanzioni
Qualora la composizione del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale eletto non rispettasse il criterio di riparto previsto, la Consob diffidava la società interessata ad adeguarsi entro il termine massimo di quattro mesi dalla diffida. In caso di inottemperanza, la Consob applicava una sanzione amministrativa pecuniaria e, in caso di ulteriore inottemperanza rispetto a tale nuova diffida, i componenti eletti decadevano dalla carica. Quando la legge era in “scadenza”, è stata proposta una proroga con alcune difformità rispetto alla previgente legge. E più precisamente:
1. Temporaneità
La legge rimarrà “temporanea” ma per 6 mandati consecutivi e la percentuale del genere meno rappresentato passa da un terzo a due quinti degli amministratori/sindaci eletti;
2. Gradualità
Anche le nuove disposizioni prevedono il criterio di riparto di almeno un quinto per il primo rinnovo successivo alla data di inizio delle negoziazioni;
3. Sanzioni inalterate
La proroga è stata proposta in quanto, dal 2020, per alcune società inizieranno a scadere i tre mandati stabiliti dalla legge Golfo Mosca. La Consob ha evidenziato che, dall’entrata in vigore della stessa, l’età media dei componenti dei consigli di amministrazione di società quotate si è ridotta, mentre è aumentata la presenza di laureati e con un titolo di studio post laurea. Alcune analisi hanno individuato effetti positivi sia sulle performance delle società, sia sui temi della sostenibilità (le imprese presentano una migliore qualità della disclosure sui temi non finanziari e prestano maggiore attenzione ai temi sociali).
Si può quindi affermare come la legge abbia avuto l’indubbio merito di cambiare in modo decisivo l’atteggiamento degli operatori di mercato nei confronti della gender board diversity. A distanza di 8 anni dall’entrata in vigore della Golfo-Mosca, oltre il 70% delle società interessate dalla legge ha la presenza del genere meno rappresentato pari o superiore a un terzo nei propri organi amministrativi.

Effettiva applicazione della Legge
e reale conseguenza per le donne:
Per quanto riguarda la parte inerente alla ricerca Cerved-Fondazione Bellisario in collaborazione con Inps che ha rilevato che in merito all’applicazione della predetta Legge ci sono ancora dei punti problematici, nonostante la battaglia per la parità di genere è sempre stato uno degli obiettivi strategici dell’Unione Europea, portato avanti nel nostro Parlamento da un numero di parlamentari donne di diverse aree e schieramenti. Oggi, nel mondo del lavoro, nonostante il principio della parità salariale contenuto nella nostra Costituzione (art.37), la discriminazione tra donne e uomini è ancora dilagante. 
Allo stato attuale è assolutamente innegabile che, soprattutto negli ultimi anni, la partecipazione delle donne alla vita economica del Paese sia aumentata sostanzialmente. La presenza femminile nei settori produttivi ha costituito e costituisce una straordinaria fonte di vitalità e d’innovazione per il «sistema Italia», che ha dimostrato di essere capace di rinnovarsi e di competere sui mercati internazionali in via del tutto spontanea, nonostante l’inadeguatezza o l’assoluta mancanza di strumenti normativi idonei ad assecondarne il rinnovamento.
Il divario retributivo di genere è evidenziato dal fatto che le posizioni lavorative di pari livello, valore e responsabilità ricoperte dalle donne nel settore privato sono pagate in media il 16,3 per cento in meno rispetto agli uomini lavoratori. Le discriminanti maggiori risultano essere il lavoro part-time, le stesse funzioni attribuite alle donne e la maternità. Nelle aziende dove si applica il contratto nazionale non c’è una differenza salariale significativa, ma non in tutte le aziende viene applicato e le differenze si creano in tanti modi, a partire dall’imposizione del part-time, che supera ormai il 60%, senza contare le difficoltà di carriera e degli avanzamenti professionali, ostacolati soprattutto per il timore della maternità. Nel 2010 la percentuale delle donne in CDA si contavano su una mano: nelle non quotate arrivavano a 6 per cento e nelle quotate arrivavano al 3 per cento.
L’imposizione normativa che ha imposto alla governance societaria un riequilibrio di presenze del genere meno rappresentato ci ha portato al trend che conosciamo: per le quotate è stato ottenuto un successo. Con la norma si può ben dire che le quotate sono cambiate, ma senza la norma le non quotate restano al palo e addirittura arretrano.
Se dunque si è convinti del buono di questa proposta è opportuno, al di là delle eccezioni per le quali molti professionisti che si sono occupati del tema hanno cercato di frapporre  ostacoli, che si lavori in tal senso con una convergenza trasversale. Le norme sulla trasparenza retributiva, in vigore dal 1996, poi successivamente modificate e oggi ricomprese all’interno dell’articolo 46 del Decreto Legislativo n.198/2006, valgono solo peraziende con oltre 100 dipendenti, le quali sono tenute a fornire, con cadenza biennale, un rapporto sulla situazione del personale anche rispetto ai differenziali retributivi. Tuttavia, anche se sono previste sanzioni per le aziende che non rispettano quest’obbligo, le norme non vengono rispettate.
Inoltre, il tetto degli oltre 100 dipendenti rende tale disposizione scarsamente applicabile e limitata a pochi contesti poiché, in Italia, le aziende che superano tali dimensioni sono meno de l5% dell’intero sistema industriale.
Occorre, quindi rivedere tale vincolo. La Commissione europea ha avviato una consultazione pubblica sulle vigenti disposizioni di legge dei paesi membri dell’Unione, adottate per effetto della Direttiva riguardante la parità di trattamento e della Raccomandazione sulla trasparenza retributiva. Si tratta dei due provvedimenti chiave che danno attuazione al principio di cui all’articolo 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: «la parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione».
La Consultazione ha lo scopo di identificare le modalità per migliorare l’attuazione e l’applicazione delle norme dell’Unione sulla parità di retribuzione, poiché la stessa Direttiva e la Raccomandazione impongono agli Stati Membri di garantire che qualsiasi legge, regolamento o disposizione amministrativa contrario al principio della parità di trattamento venga abolito. In Italia, un terzo dei lavoratori non conosce la retribuzione dei colleghi, tanto meno le lavoratrici sono messe nelle condizioni di conoscere il proprio divario retributivo dai colleghi uomini. Occorre per tanto la divulgazione delle retribuzioni medie per genere e per categoria professionale dell’organizzazione o impresa in cui lavorano al fine di rendere manifesto il divario e stimolare le rivendicazioni volte a ridurre la discriminante tra donne e uomini. Tutto ciò premesso, appare abbastanza chiaro, quindi, che allo stato attuale sussiste ancora un profondo divario salariale tra uomini e donne. Eppure nel nostro Paese una previsione di legge per vigilare su questo fenomeno esiste: è il codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo n.198 del 2006, che all’articolo 46 prescrive alle aziende con più di cento dipendenti di redigere un rapporto biennale sui vari aspetti inerenti le pari opportunità sul luogo di lavoro, inclusa la retribuzione. Ma a questa norma manca di fatto una spinta alla trasparenza: oggi non esiste un modo per sapere quali aziende abbiano redatto il rapporto e quali no e quali siano state sanzionate, né i dipendenti delle aziende hanno modo di accedere al rapporto per verificare eventuali discriminazioni. Seppure è stato raggiunto un risultato importante, è necessario elaborare, come io ho fatto nella mia proposta di legge, correggere contraddizioni e carenze nella proroga della legge Golfo-Mosca, chiedendo soprattutto di estendere pari garanzie alle società controllate pubbliche e avviando una necessaria riflessione sulle società non quotate. Sarebbe auspicabile, un giorno non troppo lontano, che l’obiettivo sia il raggiungimento a favore del genere sottorappresentato del 50% dei posti. È importante ribadire, anche in questa sede, che a livello quantitativo, in termini di creazione di valore, è stato dimostrato da diversi studi come le società con più donne leader migliorino la produttività, capacità di innovazione e valorizzazione del proprio valore sul mercato. Concluderei citando l’Onorevole Cristina Rossello con l’articolo pubblicato sul “Corriere” del 24 ottobre 2020: “il 28 dicembre 2018 ho depositato subito una proposta per il rinnovo della Legge che ha imposto il riequilibrio con la condivisione corale di membri dei Gruppi Parlamentari presenti nell’arco costituzionale. E la legge è salva per altri tre mandati. Con quota anche maggiore, grazie all’emendamento introdotto da una collega, sempre con il sostegno corale di rappresentanti di tutti i gruppi parlamentari. Se siamo convinte del buono di questa proposta è opportuno, al di là delle eccezioni per le quali molti professionisti che si sono occupati del tema hanno cercato di frapporre ostacoli, che si lavori in tal senso con una convergenza trasversale. Concludo: personalmente mi farò portavoce con tutte le colleghe per l’estensione della legge ad altre categorie di aziende per consentire loro quel progresso che solo una governance equilibrata può assicurare.” Così è stato fatto con il deposito della proposta di legge per il rinnovo della quale è scaturito l’emendamento per il rinnovo ripreso da un’altra Onorevole. Bene. Nessun problema di copyright  politico ma “tutte per una e una per tutte”.

Effetti della pandemica da Covid-19
per le donne lavoratrici:
Innegabile affermare che il virus SARS-CoV-2 ha colpito tutta la società, altrettanto innegabile è che ci sono state categorie più colpite delle altre. Le donne, in particolare, si sono ritrovate esposte su molteplici fronti, su tutti quello economico, familiare e sanitario.
Le Nazioni Unite hanno pubblicato un report dal titolo molto significativo: “The Impact of COVID-19 on Women”.  Al quinto posto dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile indicati dalle Nazioni Unite - Sustainable Development Goals, o SDGs-, il tema della gender equality è il numero 5 e l’attuale emergenza da Covid-19 ha reso ancora più evidente che si è ancora ben lontani dal conseguirlo. La pandemia ha infatti amplificato le disparità esistenti, portando indietro i progressi fatti negli ultimi anni.
L’impatto economico del virus è stato grave, e secondo le Nazioni Unite le donne potrebbero soffrirne molto di più. Prima di tutto perché ci sono molte meno donne che lavorano: il 94% degli uomini tra i 25 e i 54 anni ha un’occupazione, contro il 63% delle donne nella medesima fascia di età. Quando lavorano, queste ultime hanno uno stipendio minore. Gli ultimi dati Eurostat sulla disparità salariale tra uomo e donna fotografano una situazione, in Europa, che vede una differenza media nello stipendio del 15%, seppure in costante diminuzione negli ultimi anni. L’aspetto economico non è stato l’unico ambito colpito: la sfera sociale ad esempio ne sta risentendo in modo preoccupante. Durante il periodo di lockdown, ci sono stati i rischi a una maggiore esposizione alla violenza di genere, dovuti dalla coesistenza domestica obbligatoria.
I dati confermano, inoltre, un situazione più pesante per le donne: nel 2019 sono aumentate le dimissioni delle lavoratrici che avevano avuto da poco dei bambini (37.611, rispetto alle 35.963 del 2018), secondo i dati dell’Ispettorato del Lavoro. Di contro, i neo-papà che hanno lasciato il lavoro per seguire i figli sono stati 13.947 nel 2019, una differenza che mostra la difficoltà per le donne di conciliare famiglia e lavoro. Le donne soffrono quindi di differenze ancora sostanziali sul piano lavorativo e sociale, ma la discussione pubblica degli effetti del Covid sul genere femminile può aiutarci a focalizzare il discorso sulle disparità di genere. Segnali incoraggianti arrivano infatti dalle conversazioni online, dove sembra che i cittadini non abbiamo dimenticato la questione di genere, e la indaghino in maniera approfondita.
Per quanto riguarda il tema dello smart working sono emersi argomenti riferiti alle differenti condizioni, soprattutto lavorative, di uomini e donne, ma andando a vedere i dati riferiti alle ricerche Google e alle conversazioni Twitter possiamo vedere come – anche durante il periodo Covid – il tema della parità di genere sia rimasto molto discusso. Tali analisi sono realizzate dall’Eni Datalab, un laboratorio nato nel 2016 nella direzione di Comunicazione Esterna, con l’obiettivo di applicare anche alla comunicazione le competenze di data science, analytics e intelligenza artificiale che hanno reso Eni un’eccellenza nell’esplorazione dei giacimenti, così come nella ricerca e sviluppo di nuove fonti energetiche.

 

 

 

 
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