Convegno Recovery Plan e Anticorruzione

PROGETTO DONNE E FUTURO è un laboratorio di approfondimenti, idee, studi e proposte fondato e guidato da Cristina Rossello (https://www.progettodonneefuturo.org). La newsletter è focalizzata sui temi economici e offre innanzitutto dati ed analisi fondamentali per elaborare soluzioni immediatamente praticabili. In questo numero, segnala la Presidente Cristina Rossello, “Oltre al PNRR che prevede investimenti in ogni Paese europeo per favorire la parità di genere vi sono programmi mondiali che si stanno sempre più concentrando su azioni esecutive e su investimenti diretti per ridurre ogni gender gap. Il GLOBAL ACCELERATION PLAN è uno di questi e, per le dimensioni dell’investimento, sicuramente il più importante: 40 miliardi di dollari. PROGETTO DONNE E FUTURO vuole svolgere la sua parte e dare  evidenza, supporto e sostegno per l’attuazione degli investimenti previsti. In particolare nell’area dell’emersione, riconoscimento e monetizzazione del lavoro di cura parentale e in generale di tutti i lavori di prossimità.”

 

Sono sempre di più gli indici volti alla misurazione della parità di genere, dai più famosi come EIGE (che ha appena rilasciato la sua ultima edizione il 28 ottobre scorso) ad altri meno conosciuti come quello di ABRDN. Il Gender Equality Index di ABRDN propone un ranking tra i 29 Paesi dell’OCSE basato su tre pilastri: condizioni macroeconomiche (il livello attuale di uguaglianza di genere nella forza lavoro), politiche (evidenze empiriche rispetto fattori di policy che influenzano la parità di genere) ed empowerment (la cultura per l’empowerment femminile nella forza lavoro e nella società). Vengono studiati in totale 18 indicatori: sei per il primo pilastro (tra cui citiamo gli indicatori Gap in part time working e Gap in participation rate), otto per il pilastro delle politiche (contenente indicatori come Maternity and Paternity leave), e quattro per la parte relativa all’empowerment (in cui troviamo indicatori come Pay/work inequality). I dati sono reperiti prevalentemente da tre fonti diverse: OCSE, World Bank e V-Dem (Varieties of Democracies, un istituto di ricerca che studia e standardizza i livelli di democrazia nei vari Paesi).
Guardando i risultati generali, l’Italia, con i suoi 55 punti si posiziona 28° tra i 29 Paesi mappati, superando solo il Giappone (ultimo con 54 punti) e inseguendo Paesi come Grecia, Slovacchia (entrambe a 59 punti) e Polonia (57 punti).
Disaggregando l’indice generale nei tre pilastri, i risultati peggiori si registrano nelle condizioni macroeconomiche (ultimo posto nel ranking), mentre invece il pilastro dedicato alle politiche (20° posto) e quello riguardante l’empowerment (16° posto) mostrano risultati più incoraggianti anche se ancora lontani da una situazione di parità. Poco sorprendentemente, il ranking complessivo è dominato dai quattro Paesi scandinavi, nell’ordine: Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia.
Entrando nel merito dei risultati dell’Italia nei sei indicatori che compongono il primo pilastro, il più critico, facciamo riferimento alla tabella riportata qui sotto.

INDICATORE                  
1.1 Female labour force participation rate     42,7%  28° su 29
1.2 Gap in participation rate                    18,2%  28° su 29
1.3 Female education (years of total schooling)   9,2%    27° su 29
1.4 Gap in part time working                    23,9%  23° su 29
1.5 Gap in unemployment rate                 1,7%    27° su 29
1.6 Gap in self employment                     9,8%    28° su 29

Vediamo dalla tabella come l’Italia si trovi tra le ultime posizioni in tutti gli indicatori. Nell’indicatore 1.1 (tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro) precediamo solamente alla Corea del Sud (42,6%), così come nell’indicatore 1.2 (divario nel tasso di partecipazione), dove il gap della Corea è del 19,8%. Nell’1.3 (educazione femminile – anni di istruzione media) superiamo invece l’Austria, che ha in media 9 anni di scolarità femminile e il Portogallo, che ne di anni ne ha solo 7,1 di media.
L’1.4 (divario nel lavoro part-time) è l’indicatore del pilastro dove l’Italia ottiene il risultato migliore in termini di ranking; tuttavia, siamo lontani da Paesi come Portogallo, Slovenia, Grecia (per citarne alcuni del Sud Europa) il cui gap è inferiore al 10%. Torniamo poi nelle ultimissime posizioni nell’1.5 (divario nel tasso di disoccupazione), in cui siamo davanti solo a Spagna (3,6%) e Grecia (6,3%), e nell’1.6 (divario nel lavoro autonomo), in cui superiamo solo l’Irlanda, il cui gap è del 12,4%. Da menzionare anche il risultato riguardo l’indicatore Paternity leave (pilastro delle politiche), in cui in Italia si registrano solamente 4 giorni di congedo retribuito per i padri (21° posto nel ranking); a differenza di altre nazioni latine come in Spagna e Portogallo dove tali indici raggiungono rispettivamente un mese o addirittura più di 5 mesi.
Gli indicatori che abbiamo commentato mostrano una situazione, per l’Italia, di ritardo rispetto agli altri Paesi OCSE, e soprattutto evidenziano tutti i limiti posti dalla società, la quale è ancora un forte ostacolo per la piena emancipazione femminile e l’uguaglianza di genere. Risultati insoddisfacenti in indicatori come il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro, la media di anni di istruzione, il divario nel lavoro part-time e i congedi di paternità retribuiti ci ricordano di quanto sia necessario spendersi per promuovere una cultura di genere anche negli ambienti di lavoro, dai quali possono emergere sfide e opportunità di miglioramento importanti verso una maggiore uguaglianza di genere.

 
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